Per l'incoronazione del Pontefice

Era uso, almeno fino alla seconda metà del XX secolo, che al maestro direttore della Cappella Musicale Pontificia, la “Sistina”, fossero non di rado commissionate nuove composizioni per celebrazioni particolarmente importanti  come l’incoronazione o le esequie del Pontefice. In questo caso veniva richiesta al direttore una propria interpretazione musicale delle notissime antifone in uso nelle cerimonie papali, come il “tu es petrus”, ma accadeva anche che fossero commissionati canti prettamente liturgici, parti del cosiddetto ordinario della Messa. A richiederle spesso era il Prefetto delle cerimonie, ma è capitato che il desiderio fosse espresso dallo stesso Pontefice; più frequente il caso in cui era il maestro direttore a comporre per propria iniziativa, dedicando poi messe e mottetti al papa. Così facendo andava anche ad arricchire il patrimonio proprio ed esclusivo della Cappella musicale.

A questo proposito, per comprendere l’importanza che si dava alla formazione di un repertorio esclusivo ed identificativo della cappella, che concorreva a delinearne fama e prestigio, si ricordi che fino a metà Ottocento le partiture di diverse opere del Palestrina e dell’Allegri erano di sola proprietà della Cappella Pontificia, che le custodiva con gelosia in modo che non potessero divenire di dominio pubblico. Erano tempi, fino alla prima metà del Novecento, in cui si avvertiva una seppur lieve competizione fra le grandi compagini polifoniche d’Italia, la “Sistina”, la “Giulia”, la “Lateranense”, la “Liberiana”, la “Marciana” di Venezia, la Cappella del Duomo di Milano. Ogni cappella annoverava un celebre direttore/compositore, a Roma c’erano Perosi e Bartolucci, a Milano il fratello di Lorenzo, Marziano Perosi e poi Luciano Migliavacca, a Venezia Alfredo Bravi. Erano anche tempi in cui i compositori di musica liturgica non votavano la propria produzione artistica al raggiungimento di una notorietà “accademica” in ambito musicale, ma piuttosto la mettevano al servizio della cappella alla quale erano preposti e dell’istituzione, basilica o cattedrale che fosse, della quale si sentivano di dover accrescere lo splendore nei riti e nella fama.

In questo contesto inseriamo l’analisi di due splendide opere della grande tradizione polifonica romana purtroppo sconosciute ai più: lo “Oremus pro pontifice nostro Ioanne” e il “Corona aurea super caput eius”, entrambi capolavori di Domenico BartolucciFurono composti dal maestro fiorentino nel 1958, in occasione del solenne rito di incoronazione di Giovanni XXIII, avvenuta il 4 novembre dello stesso anno.


Oremus pro pontifice nostro Ioanne.
Dominus conservet eum, et vivificet eum,
et beatum faciam eum in terra,
et non tradat eum in animam inimicorum eius.


Questo l'antico testo latino dell'Oremus pro pontifice, uno dei canti più cari ai fedeli perchè contiene la preghiera rivolta a Dio per il papa, perchè lo conservi in vita, gli doni salute, lo renda felice sulla terra e non lo lasci in preda ai suoi nemici. Nella cerimonia di incoronazione di papa Roncalli fu intonato dalla Sistina durante l'offertorio, subito dopo la terza ripetizione del Tu es Petrus nella versione del Palestrina. Pur non essendo un'antifona propria della articolatissima cerimonia di incoronazione, la sua presenza si spiega con una radicata consuetudine, quella di augurare "lunga vita" al sovrano, che si ritrova nel rito di coronazione dei monarchi britannici e che è stata mantenuta anche nell'odierno "rito di inizio del ministero petrino". 
L'Oremus pro pontifice nostro Ioanne è un mottetto a quattro voci, l'inizio, cantato molto sommessamente da bassi e tenori, consiste nella ripetizione dell'oremus, poi integrata dall'ingresso prima dei contralti e poi dei soprani che, introducendo i bassi al pro pontifice nostro, rientrano su quest'ultimo termine per concludere con l'enunciazione del nome pontificale, Ioanne. Dopo una breve pausa il coro esplode improvvisamente alle parole dominus conservet iniziando così una bellissima melodia, ripetuta due volte, che si staglia di netto dalla prima parte quasi impercettibile. Il coro prosegue fino a eum in terra seguendo lo stesso schema: la melodia viene anticipata da bassi e tenori e poi ripresa da contralti e tenori. Ancora, sempre due volte viene ripetuto così et non tradat eum, poi per tre volte il coro canta in animam inimicorum per poi concludere con la stessa finale, maestosa  e unanime affermazione che si spegne flebile concludendo l'opera.

Corona aurea super caput eius  
expressa signo sanctitatis, 
gloria honoris, et opus fortitudinis. 
Quoniam praevenisti eum in benedictionibus dulcedinis, 
posuisti in capite eius coronam de lapide pretioso.


Questo secondo mottetto, anch'esso a quattro voci, è da secoli inserito dalla tradizione romana nella mistica cornice dell'incoronazione del Pontefice. Questa antifona dà infatti inizio all'effettivo rito di incoronazione, precedendo il Pater noster intonato dal cardinale decano e la formula di rito con la quale il cardinale protodiacono pone sul capo del Pontefice il triregno. Si conoscono diverse versioni del Corona aurea, una delle quali, composta dal Palestrina, è stata cantata stabilmente nelle incoronazioni almeno fino al 1831, come rivela il Moroni. Nel 1846 invece fu eseguita una versione composta per il neoeletto Pio IX dal "signor Pasquali di Carpineto". Dopo un presumibile ritorno al Palestrina, nel 1903 si cantò un Corona aurea di Giuseppe Baini e, come già detto, nel 1958 venne eseguito il mottetto del Bartolucci. 
Sono contralti e soprani ad iniziare scandendo con composta solennità corona aurea super caput eius, dando luogo ad una straordinaria ascensione vocale che ha il suo apogeo in eius, cui fa cornice la sottostante melodia dei bassi. Poi l'autore riprende lo stile già espresso nell'Oremus pro pontifice, sono prima bassi e tenori a cantare expressa signo sancitatis, così come nei versetti seguenti, concedendo però diversi virtuosismi che sottolineano le ieratiche parole dell'antifona: gloria honoris, opus fortitudinis. Dopo alcune ripetizioni il coro sembra spegnersi a dulcedinis, per riprendere inaspettatamente la melodia iniziale: posuisti in capite eius. La vibrante, solenne duplice ripetizione di coronam è l'ultimo momento di straordinario splendore, chiude l'antifona che si spegne lentamente alle parole de lapide pretioso.

Ecco di seguito le registrazioni, estratte dalla diretta RAI della cerimonia, dei due mottetti del Bartolucci, di cui non sono mai state effettuate incisioni discografiche, pur essendo contenuti nel "IV Libro dei Mottetti" dello scomparso compositore fiorentino. 






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