«Dov'era, com'era»

Storia di una ricostruzione, quella della antica e venerabile Abbazia di Montecassino, simbolo di un'Italia che rinasce e di una Chiesa di popolo, ancora saldamente stretta attorno ai suoi pastori.
























"Vogliamo esprimere il Nostro elogio a quanti hanno merito in questa gigantesca opera di ricostruzione. Il Nostro pensiero va all’Abate di questo Monastero; va ai suoi collaboratori; va ai benefattori; va ai tecnici, va alle maestranze ed ai lavoratori. Un particolare riconoscimento è dovuto alle Autorità italiane, le quali hanno prodigato cure e mezzi quanto occorrevano, affinché qui l’azione della pace trionfasse sulla azione della guerra. Montecassino è diventato così il trofeo di tutta l’immane fatica compiuta dal popolo italiano per la ricostruzione di questo diletto Paese."
Queste le parole con cui Paolo VI salutò il 24 ottobre 1964 l'avvenuta ricostruzione del Monastero di San Benedetto, distrutto da un tanto vile quanto inutile bombardamento alleato vent'anni prima, il 15 febbraio 1944. Le ragioni di questo criminoso attacco, definito "vergogna perpetua della nostra civiltà" dallo stesso Eisenhower, non furono mai chiarite; ciò che invece risulta certo è che i responsabili di questa operazione bellica, il generale americano Clark e il neozelandese Freyberg, non furono mai chiamati a rispondere delle loro colpe, come del resto l'intera quinta armata per essersi abbandonata a stupri e violenze di ogni genere ai danni di donne, sacerdoti e bambini durante la battaglia di Montecassino.

L'opera di ricostruzione si mise in moto a pochi mesi dal bombardamento, inizialmente per mano degli stessi soldati polacchi che intendevano custodire il sacro recinto del Monastero, così descritto da padre Rea, allora non ancora abate, in una lettera alla Segreteria di Stato: "Della gloriosa abbazia non rimane più nulla. Egli [l'abate Diamare, ndr] spera che sotto quelle macerie si trovi ancora il resto di qualche muro"

Nel dicembre 1944 il ministro dei Lavori pubblici Ruini dispose l'inizio dei lavori di sgombero delle macerie e la costruzione di un edificio provvisorio per i monaci; l'anno successivo, finalmente, i lavori ebbero inizio dopo aver risolto il grave problema del loro finanziamento, che fu in larga parte erogato dallo Stato italiano e in parte da donazioni private (si ricordi a tal proposito la famosa serie delle cartoline di Montecassino). La spesa complessiva era infatti stata quantificata della "Commissione per il piano di Massima dei Lavori di ricostruzione di Montecassino" in oltre un miliardo e mezzo di lire.  

Il 15 marzo 1945 ebbe luogo la cerimonia della posa della prima pietra augurale da parte dell'abate Gregorio Diamare alla presenza del presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi. Il vecchio benedettino, abate dal 1909, morirà il 6 ottobre dello stesso anno; a succedergli fu Ildefonso Rea, che si prodigò in prima persona nella monumentale impresa, sollecitato dallo stesso Pio XII che ebbe a definire la ricostruzione "doveroso e generale tributo di riconoscenza".

L'effettiva opera di ricostruzione, protrattasi dal 1948 al 1956, venne diretta dall'ingegnere Giovanni Breccia Fratadocchi che cercò di attenersi il più possibile all'originale sulla base di rilievi e fotografie, secondo il fermo volere dell'abate Ildefonso Rea, vero capitano e promotore della grandiosa impresa. Secondo le sue stesse parole, l'Abbazia doveva risorgere "com'era, dov'era e nelle preesistenti linee architettoniche e volumetriche", una precisa affermazione di carattere sociale e storico volta a preservare il "faro della civiltà occidentale"

“Italiani! Il 15 febbraio del 1944 il vostro animo di credenti, già lacerato da tante ferite, e sospeso per gravi ansie, sbigottiva a una cruda notizia della radio: l’Abbazia di Montecassino – rocca ed argine nei secoli alla ricorrente barbarie, faro alla civiltà, gemma del mondo – era stata colpita, schiantata, distrutta da un formidabile bombardamento. [...] rivolgo un appello a tutti gli Italiani per invitarli a cooperare nella riedificazione della millenaria Abbazia. Il nome di Montecassino, attraverso i secoli, è indissolubilmente legato alla storia della Patria; e ancora una volta lo strazio di Montecassino è simbolo e sintesi della tragedia d’Italia. E Montecassino sia segno e vincolo di fratellanza e di concorde volere nella faticosa rinascita; sia espressione della gelosa fierezza degli Italiani verso indistruttibili valori del loro spirito e del loro genio. Montecassino risorto sia pegno di risurrezione per la Patria, testimonianza dell’inestinguibile vita della nostra Gente”. 

Con questo appassionato “Messaggio agli Italiani” letto alla radio dall’abate Ildefonso Rea, il ricostruttore di Montecassino, cominciava quindi la meravigliosa avventura della ricostruzione dell’Abbazia e delle chiese della Diocesi Cassinese. Un ventennio di grande fervore in ogni campo che vide risorgere più splendente di prima il monastero. Un suggello autorevolissimo a tutto questo veniva apposto dalla visita di Paolo VI a Montecassino il 24 ottobre 1964. In quel giorno il Sommo Pontefice, accompagnato da alcune centinaia di padri Conciliari e da una decina di cardinali, consacrò per la quarta volta nella sua storia la ricostruita Basilica di San Benedetto. Terminava così una bellissima pagina di storia dell'immediato dopoguerra, che aveva visto collaborare il popolo cassinese, lo Stato italiano e gli stessi monaci benedettini, sotto la guida di due santi pastori, l'abate Diamare prima e l'abate Rea poi, nella nobile opera di restituire al Patrono d'Europa la Sua Casa barbaramente distrutta.


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