La Messa esequiale: svilimento della morte?


di Vittorio G.Rossi 


Non si sa più come morire; la Messa da morto come è adesso fa piangere più di prima; ma non fa piangere per il morto: fa piangere per la Messa. Dico Messa da morto; dovrei dire Messa esequiale: ma io non sono un intellettuale come quelli che hanno fatto la Messa nuova da morto; e allora dire Messa da morto mi fa vedere la cosa; e dire Messa esequiale non me la fa vedere, ci devo pensare su un momento. Non mi piace parlare di cose della morte; ma la Messa da morto riguarda più i vivi che i morti; quello che riguarda i morti, non lo possiamo sapere. La morte è una cosa tremendamente seria, la più seria di tutte le cose che possono capitare all'uomo; perché l'uomo che ha fatto quel passaggio, potrà diventare angelo o diavolo o niente; ma ha finito di essere uomo, e questa è una perdita, su cui non si piangerà mai abbastanza.

La vecchia Messa da morto faceva sentire quel dramma tremendo; la Messa da morto che c'è adesso, è come andare a cogliere margheritine nel prato e il parasole in mano.
Le hanno cambiato anche il colore; prima era nera, adesso è viola; il nero poteva disturbare l'uomo di adesso, fargli venire i complessi, come si usa adesso; come per le sculacciate ai bambini, una volta si davano come confetti; adesso dicono che l'onda della sculacciata può arrivare al cervello, e uno che stava per diventare un altro Leonardo da Vinci, diventa un cretino da ospizio. Il viola è come il vino allungato con l'acqua, non è né vino né acqua; non è né caldo né freddo, né vivo né morto; è un piccolo trucco per fare passare la morte come un aperitivo.

Quell'invocazione che si ripeteva lungo tutta la vecchia Messa, requiem aeternam dona eis, Domine, era grandiosa; era una invocazione a Dio nella grandiosa maestà dalla lingua sacra, non quella volgare di adesso, la stessa che serve per comprare i ravanelli in piazza del mercato; era l'invocazione a Dio di placare la tempesta, e riempiva e scrollava la volta della chiesa e dava un brivido a quelli che provvisoriamente restavano sulla sponda di qua. Adesso quell' "eterno riposo" della Messa nuova è adatto a uno che va in pensione, e si spera che gliela paghino. La Messa di adesso è fatta quasi tutta di salmi; e la poesia dei salmi è una grande poesia, grandi blocchi monumentali di poesia; ma trasferita nella lingua per comprare i ravanelli, e tradotta da gente brava a fare le liste della biancheria da mandare in lavanderia, la poesia dei salmi e delle altre letture sacre è diventata la poesia delle liste della biancheria.
"Il giusto, anche nel caso di morte prematura - troverà riposo. -  Vecchiaia veneranda non è la longevità - né si calcola dal numero degli anni. - La canizie per gli uomini sta nella sapienza". Era un pezzo del Libro della Sapienza: era poesia, e poesia augusta; è diventato un pezzo di una polizza di assicurazione sulla vita. E anche in chiesa, anche alla presenza di un morto, non si sa se ridere o piangere.

[…]

Dalla Messa da morto hanno tolto il Dies irae. Devono aver pensato che potevano conturbare le anime gracili di questi tempi svirilizzati; e hanno demolito la Messa da morto. Quando nella Chiesa scoppiava quel canto, "Dies irae, dies illa. Solvet saeclum in favilla... Il rimbombare della tromba per i campi seminati di sepolcri... Prostrato a terra, invoco pietà"; quel canto faceva un rimbombo immenso dentro l'uomo che ascoltava, credente o non credente, perché la morte riguarda tutti, credenti e non credenti. La religione si regge sull'esistenza del dolore e su quella della morte; nessuno può abolire definitivamente dentro l'uomo una religione, se non abolisce il dolore e la morte. Quel canto tremendo lo metteva con la faccia dentro la faccia della morte; e allora lui cercava disperatamente la faccia di Dio; la faccia di quello che non muore. E il Libera; il Libera che anch'esso doveva essere cantato in latino; perché solo così, con una lingua che non è quella per comprare i ravanelli, l'uomo può dire a Dio la sua disperazione; dirgli che lo liberi dalla morte eterna, "Libera me, Domine, de morte aeterna...  quando verrai a giudicare il mondo col fuoco...".

La Messa da morto era qui, in questi canti terribili e virili; quando si celebrava in una chiesa di villaggio, quella chiesa diventava immensa, una grande cattedrale. Poi l'uomo vivo usciva a testa bassa dalla chiesa dietro il morto, perché quei canti continuavano a rimbombargli dentro, come quando il cielo è pieno di folgori e tuoni. Ora nella Messa nuova il prete parla lui della morte; lui che non sa che cosa è la vita, dovrebbe spiegare ai vivi che cosa è la morte. Così la Messa da morto è diventata una Messa coi fiori di plastica, e il burro e la marmellata. Il morto cinguetta sul ramo, come un passerotto; e tutto contento che è morto, e ora si metterà a tavola con gli angeli, i santi, i martiri, i patriarchi, il pane e burro e marmellata. Ma io ho già detto al mio parroco, uomo pio, che se mi celebra quella Messa del pane e burro e marmellata, io mi rifiuterò di morire. Però la nuova Messa da morto è la Messa di questa Chiesa cattolica di adesso; la grande Caterina da Siena direbbe che essa ha perso l'anima virile; dove i preti fanno quello che vogliono, si travestono come vogliono; e quei teologi nuovi che vogliono una religione cattolica da rivedere continuamente e a rivederla siano i parrocchiani e il loro parroco, e facciano le votazioni, per esempio, votare se oggi che è giovedì nell'ostia consacrata c'è Cristo o non c'è. E quegli uomini di chiesa che parlano del giorno che nel posto di Dio si metterà il Pithecantropus, ossia l'ominide di Giava, perché l'uomo è tutto. Una volta bruciavano anche per cose più piccole di queste; adesso quelli che dicono queste cose, non sono buoni neanche come legna da bruciare.

da "Epoca" 26 settembre 1971

Immagine Orbis Catholicus Secundus

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