Capolavori palestriniani: gli Improperia /2



"22 marzo, Venerdì Santo: il momento in cui il coro canta Popule meus, quid feci tibi? è senza dubbio il più bello e non vi ha l'uguale."

Così nel 1788 scriveva Goethe nel suo "Viaggio in Italia" in riferimento al mottetto palestriniano che andremo ad analizzare.

Il Popule Meus di Pierluigi Giovanni da Palestrina è un mottetto per 4/8 voci in due cori, cantato responsorialmente per accompagnare l'adorazione della Croce nell'uffizio del Venerdì Santo. Si compone del primo dei tre rimproveri che costituiscono la prima parte del testo originario degli Improperia. Questi versetti sono tratti rispettivamente dal libro del profeta Michea (Mich 6,3), dalle lamentazioni di Geremia e da Isaia.

Inizia il primo coro cantando "Popule meus, quid feci tibi?" ; prosegue poi il secondo "Aut in quo contristavi te? Responde mihi!" ; riprende infine il primo "Quia eduxi te de terra Ægypti, parasti crucem Salvatori tuo". Quindi si inizia il canto del Trisagio, prima in greco (secondo coro) e poi in latino (primo coro).
La composizione palestriniana viene eseguita con voce sommessa ed affettuosa, quasi in un paterno rimprovero. L'inarrivabile bellezza (seppur in una mirabile semplicità) della composizione, la drammatica e profonda imponenza delle parole, suscitano una particolare commozione nell'animo dell'ascoltatore. La melodia presenta la tecnica del falsobordone (canto e moto parallelo di due voci formando accordi di quarta e sesta), tipica della polifonia quattro-cinquecentesca. Non si notano invece particolari tecniche espressivo-vocali, la melodia risulta semplice grazie all'uniformità delle voci che negli improperi è mantenuta fino alle note finali, dove soprani e contralti terminano la frase in diminuendo, mentre il tenore conclude con un mordente. 

Le note del Popule meus di Palestrina assumono tutta la profondità delle lamentazioni dei profeti, che accompagnano il lento incedere del Sacerdote verso l'adorazione della Croce, simbolo della Passione di Nostro Signore. Gli Improperii scanditi dal coro costituiscono una declamazione mite ma dolorosa proveniente dal Cristo che si lamenta dalla Croce. Essi sono interrotti dalle formule ieratiche del Trisagio che fanno assumere all’Officium dell'adorazione (“προσκύνησις” in greco, cioè profonda prostrazione) il senso non di un dolorante ufficio di Passione ma di esaltazione del “Mysterium Crucis”.

Composti dal Palestrina nel 1560, i suoi Improperia furono considerati talmente appropriati per il contesto liturgico e profondi nella loro intrinseca bellezza, che per volere di Pio IV Medici furono inseriti stabilmente nel cerimoniale pontificio. Come testimonia il Moroni nel suo Le Cappelle pontificie, cardinalizie e prelatizie del 1841, il mottetto Popule Meus era ancora stabilmente cantato nella "Messa de' Presantificati", la funzione celebrata dal Papa la mattina del Venerdì Santo nella cappella Sistina in Vaticano o nella Paolina al Quirinale. Nella descrizione dell'adorazione, il Moroni ci rivela che alla prima genuflessione del papa, dopo che egli aveva deposto il piviale e le scarpe crucigere, il coro intonava il Popule meus di Palestrina, suscitando grande commozione negli astanti. Questa precisazione si ritrova anche nella Descrizione delle funzioni della Settimana Santa nella Cappella Pontificia di Francesco Cancellieri. 

Il Popule meus è da molti considerato una delle più belle e riuscite composizioni dell'autore prenestino. I suoi Improperia hanno affascinato letterati e musicisti che a Roma si fermavano ad ascoltare le esecuzioni della Cappella Musicale Pontificia. Come abbiamo già scritto all'inizio di questo post, anche Goethe ha parole di ammirazione e lode per il mottetto palestriniano. Scrive infatti:
Le musiche della Cappella [Musicale Sistina, ndr] sono d'una bellezza indicibile: soprattutto il Miserere di Allegri e i cosiddetti Improperi, ossia i rimproveri che il Dio crocifisso muove al suo popolo. Vengono cantati la mattina del Venerdì Santo. Il momento in cui il papa, deposta ogni magnificenza, scende dal soglio per adorare la Croce e tutti gli altri rimangono immobili nel silenzio generale, mentre il coro intona Popule meus, quid fecit tibi?, è una delle più belle fra tutte le bellissime funzioni; non se ne può rendere un'idea che a voce, [...].
Anche insigni musicisti si cimentano nello studio e nell'analisi di quest'opera. Mendelssohn, solitamente molto critico nei confronti della polifonia romana, così si esprime riguardo agli Improperii di Palestrina:
Da una prima audizione mi pare che sia una delle più belle composizioni di Palestrina, e viene cantata con una predilezione speciale: vi è una meravigliosa delicatezza ed armonia nella condotta del coro; essi sanno mettere in giusta luce e cavare fuori ogni frase senza forzarla, un accordo si fonde dolcemente con l’altro…
Mentre Mozart nel suo soggiorno romano si limita allo studio della polifonia trascrivendo a memoria le note dei già citati Miserere di Allegri e Popule Meus di Palestrina (le partiture erano di esclusiva proprietà della Cappella Sistina, onde evitarne riproduzioni anche parziali), Hector Berlioz nelle sue memorie definisce sublimi gli Improperia di Palestrina allegando questa riflessione:
Tutta la cerimonia, l'evento stesso ch'essa commemora, la presenza del Papa nel mezzo del corpo dei cardinali, il merito dell'esecuzione dei cantori che declamano con una precisione e una intelligenza ammirevoli, tutto questo costituisce uno degli spettacoli più imponenti e toccanti della settimana Santa.

Immagine New Liturgical Movement,
Funzione del Venerdì Santo 2012, London (Brompton) Oratory

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