Capolavori palestriniani: gli Improperia



Prima di analizzare ed approfondire la splendida e commovente composizione di Pierluigi Giovanni da Palestrina, forniamo un breve approfondimento sugli Improperia.

Improperio, termine tardo latino derivato da improperare, indica nel gergo ecclesiastico il rimprovero, distaccandosi notevolmente dal significato italiano di insulto, espressione gravemente ingiuriosa. Nella liturgia romana gli Improperii (o, nella forma latina, Improperia) indicano i versetti che si cantano nell'ufficio del Venerdì Santo accompagnando la solenne adorazione della Croce.


Il testo attuale, di origine gallicana, risale ai secoli IX-X, ma simili composizioni si ritrovano anche in Oriente nel VI secolo. Vi si esprimono i paterni ed affettuosi rimproveri del Signore al popolo ebraico, infedele, contrapponendo i benefici fatti da Dio al suo popolo alle sofferenze inflitte al Cristo nella Passione. Detti rimproveri, sottolinea la tradizione romana, si applicano anche a quei cristiani che, rinnovando le ingratitudini d'Israele con le prevaricazioni, mal corrispondono alle divine munificenze. Le formule degli Improperia sono in gran parte tratte dalle profezie di Geremia (cap. II) e Isaia (cap. V) e vennero riportate per la prima volta in Occidente da Prudenzio, fino a comparire nel Liber Usualis nel secolo quattordicesimo. Il Moroni, nel suo Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica riporta una riflessione pubblicata dall'abate Alessandro Mazzinelli nel suo Uffizio della Settimana Santa. Questo testo presenta evidenti influenze antigiudaiche, che vanno però inserite nel contesto del panorama culturale clericale della fine del XVIII secolo. 
Non si videro giammai dalla parte di Dio benefizi più eccelsi e miracoli più segnalati; e dalla parte degli uomini ingratitudine più iniqua, prevaricazioni più enormi, che nel popolo d'Israele; sicché poté loro a giusta ragione rimproverarsi, che gente di dura cervice e di cuore protervo aveva sempre resistito allo Spirito Santo. Ma il sommo della loro ingratitudine e della loro iniquità comparve nella morte data a Gesù Cristo. Venne il tanto da loro aspettato Messia; ma la perfidia giunse a tanto, che i figli micidiali ed ingrati, invece di lietamente accoglierlo, recarono a morte quello, che dai loro padri era stato chiesto con tante istanze, aspettato con tanto desiderio. Nel giorno in cui commisero sì orrido sacrilego deicidio se ne fa loro alto rimprovero; e con modi tanto teneri ed affettuosi si fa un bel confronto de' benefizi che hanno ricevuti, e dell' ingratitudine colla quale hanno corrisposto. Ciò che l'Altissimo ha fatto per Israele non è stato che un'immagine ed un'ombra di ciò che ha fatto per noi; ed Israele non solo ne' suoi privilegi e favori, ma ancora nelle sue prevaricazioni, ci rappresenta le ingratitudini nostre; onde que' rimproveri a noi, come ad essi convengono. È qualche cosa di più orribile il peccato, che non sono le spine, i chiodi, il fiele e l'aceto; e dopo aver conosciuto ed adorato il Cristo del Signore, dopo averne confessato la gloria del suo nome, dopo ch'ei vive e regna, è più orribile affliggere il suo cuore, insultare alla sua potenza: chi pecca crocifigge di nuovo Gesù Cristo.
Nell'unica cornice dei riti del Venerdì Santo, gli Improperî si cantano con voce sommessa e flebile, in una tenerissima melodia. Al termine di ogni rimprovero, si canta in greco e in latino il Trisagio. Il Tris(h)ághion (τρίς "tre volte"  e  ἅγιος "santo") è l'inno di lode a Dio tre volte Santo. Di origine biblica, è stato assunto nella liturgia cattolica con la definizione di Trisagio Cherubico, da non confondere con quello "Angelico" o "Trionfale" o ancora "della Messa", che segue il Prefazio nella liturgia latina. Così recita il versetto: Sanctus Deus / Sanctus Fortis / Sanctus Immortalis, miserere nobis; venendo ogni espressione ripetuta da un altro coro in lingua greca. La sua origine è avvolta in una mistica leggenda riportata nel Menologo de' Greci. Quest'inno fu infatti insegnato ad un fanciullo per divina rivelazione nel 445-446, in un tempo di frequenti e terribili terremoti nella città di Costantinopoli. La cronaca dell'evento miracoloso, tratta dal già citato Menologo e riportata dal Moroni, è di seguito trascritta.
La città era desolata dalla fame e da un puzzo pestifero che cagionava grande mortalità d'uomini e d’animali, fu per virtù divina improvvisamente rapito in alto e in cielo a vista di tutto il popolo che con gemiti e pianto replicava Kyrie eleison. Ritornando poi in terra il fanciullo dopo un'ora, riferì d'avere udito da' celesti Spiriti cherubici cantare innanzi a Dio il detto trisagio, e subito spirò; il quale divino cantico ad alta voce replicato dal popolo con divozione, per ingiunzione del fanciullo e del vescovo s. Proclo, onde placare l'ira divina, con mirabile prodigio il terremoto, che da 6 mesi rovinosamente spaventava tutti, cessò immantinente. Tutti si posero a cantare l'inno tanto più volontieri, perché venivano attribuiti i pubblici flagelli per le bestemmie che gli eretici di Costantinopoli vomitavano contro il Figlio di Dio. Il luogo dove fu rapito e portato in cielo il fanciullo, si chiamò Exaltatio divina; ed esso fu sepolto nella chiesa detta la Pace. Quindi l'imperatore Teodosio II e l'imperatrice s. Pulcheria sua sorella, attoniti del miracolo strepitoso, ordinarono che il trisagio si cantasse per tutto l'impero, e nel 451 l’approvò e cantò nel fine della I azione il concilio generale di Calcedonia; registrandosi il miracoloso avvenimento nel Menologio dei greci a’24 settembre, per celebrarne la memoria. Fin da quel tempo il trisagio fu usato con gran frutto de’fedeli, e dalla chiesa non meno orientale che occidentale. Il santo vescovo di Costantinopoli Proclo introdusse il trisagio nella liturgia innanzi alla lettura dell’Evangelo, colle parole: Agios Theos, Agios ischyros, Agios athanatos, eleyson imas; e fu seguito dalla chiesa di Gerusalemme. Altra aggiunta nella liturgia greca non fece s. Proclo, mentre pretesero alcuni greci moderni ch'egli vi operasse vari cangiamenti, cioè nella liturgia di Costantinopoli, ossia l'antica di Gerusalemme di s.Giacomo, compendiata o riveduta da san Giovanni Crisostomo, la quale a poco a poco divenne d'un uso universale nella chiesa greca.
Con questa vicenda si spiega il perché della presenza della lingua greca, allusione alla voce divina udita in Costantinopoli per bocca del fanciullo. Alcuni anni dopo, nel 463, Pietro Fullone aggiunse al Trisagio una formula innovativa che si prestava facilmente ad errate interpretazioni. Considerata corollario dell'eresia dei Teopaschiti, fu proibita da Gregorio VII agli Armeni, decreto confermato ed esteso a tutta la Chiesa Orientale dalla S. Congregazione di Propaganda Fide il 30 gennaio 1635. Porta il nome "degli Improperi" anche una cappella situata nel complesso del Santo Sepolcro di Gerusalemme.

Fin dalla prima apparizione in Occidente nel VI secolo, gli Improperia sono stati ripresi più volte da molti grandi compositori di musica sacra. Tra essi Tomás Luis de Victoria (1548-1611) e Pierluigi Giovanni da Palestrina, il cui splendido mottetto Popule Meus (il primo rimprovero, tratto dal sesto capitolo del libro del profeta Michea) analizzeremo e commenteremo nella seconda parte del nostro approfondimento.


Immagine Corbis

Nessun commento:

Posta un commento